martedì 10 novembre 2015

Spiego il perché, ieri, avrei desiderato sbattezzarmi, da persona umana.

In verità, ancora oggi, il sentimento di rifiuto è ben vivo, accompagnato dalla frustrazione di non poterlo realizzare. Nei giorni di obbligata assenza, causata dal noto problema di connessione ad internet, avevo trascorso il tempo, applicandomi alla messa a punto del mio secondo romanzo e alla lettura. Il primo impegno, pur fastidioso, non aveva creato eccessivi problemi. Al contrario, un articolo di Adriano Sofri, sul quotidiano La Repubblica, del 5 novembre scorso, aveva dato inizio al desiderio di sbattezzarmi. L'articolo, descriveva l'oscena lapidazione, di una ragazza afgana diciannovenne, accusata di adulterio, per essere fuggita con un ragazzo di cui era innamorata. Non un fatto nuovo, purtroppo, perché esecuzioni del genere succedono, con una certa frequenza, anche in altre parti del mondo. Pur tuttavia, il disgusto, era salito di parecchi gradini, pensando allo stuolo di maschi (uomo è altra cosa) intento a lanciare pietre, fotografare e filmare la scena, senza provare la minima pietà per la vittima (per me, del tutto innocente). Il disgusto, e il relativo desiderio di sbattezzarmi, aveva raggiunto l'acme, proseguendo la lettura dell'articolo. Nel Paese, così impietoso verso una ragazza innamorata, fuori del matrimonio, è ampiamente tollerata una pratica aberrante. Chiunque abbia la possibilità di procurarsi un bambino, lo usa per sfogare la più bassa pratica sessuale. Tenuto prigioniero, con una catena alla caviglia, fissata al letto, il bambino deve danzare, vestito con abiti femminili, per divertire il suo padrone che, dopo essersi ben eccitato, lo stupra. Subito, avevo pensato quei maschi, fra i presenti alla lapidazione. E mi ero chiesto: esseri così perversi, fanno parte della mia medesima specie? Avrei voluto, in risposta, un "no" deciso ma, impossibile da ottenere. Troppi erano e sono i miei simili, avvezzi allo stupro di minori, d'ambo i sessi. Inutile e umiliante, rifugiarsi nella scusa di considerare la pratica, dipendente da "culture" diverse. Non può essere considerata: cultura, nessun episodio di violenza, tanto meno quando avviene in danno di un essere innocente. Lo era la ragazza uccisa con il lancio di pietre, lo sono i bambini incatenati, lo sono i milioni di bambine date in sposa a maschi adulti, le ragazze trattate come fossero niente più di corpi da godere, nei matrimoni celebrati, pro tempore, per calmare gli ardori maschili. Potrei continuare ancora a lungo...... ma. 
Ma, vengo sovrastato dal desiderio di cambiarmi in verme. Sempre meglio strisciare nel fango, che razzolare nella merda, descritta sopra.              

2 commenti:

  1. Capisco il tuo pensiero, lo comprendo.
    Vero quel che dici sulla "cultura". La cultura non è violenza e stupro.

    Moz-

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  2. MikiMoz, il termine cultura, viene spesso usato, per scopi giustificativi, al posto di tradizione. Vero è che, alcune tradizioni, sono da conservare e formano cultura, un gran numero però, affonda le radici nell'irrazionale propensione al piacere, sopratutto dalla parte maschile della società. Essendo maschio anch'io, me ne dolgo e mi vergogno. Credo però, d'essermi emancipato, crescendo in uomo, condizione necessaria, per abbandonare gli istinti primordiali, derivanti dalla superiorità della forza muscolare, di maschio. Ne ha guadagnato il cervello, l'ossigeno sottratto ai muscoli è salito a nutrirlo. Ciao Moz, grazie.

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