sabato 4 luglio 2015

STORIE; NON BELLE.

Le vicende descritte nel post, riguardano due persone conosciute in gioventù, forse ne avevo già accennato, ma anche fosse, lo avevo fatto in maniera parziale, mentre oggi le voglio sviluppare nella piena tragicità delle conseguenze. Non è opera di fantasia, posso documentare, ciò che descrivo, senza tema di essere smentito, in più, ne ero stato testimone diretto. Trattasi di due casi, in cui, l'omosessualità, era stata la causa distruttiva per due vite, ed avevano imposto a me, di abbandonare i pregiudizi, fino allora presenti, nonché certi stereotipi appiccicati ai diversi . 
Il primo caso, aveva riguardato un parente: fratello minore di mia nonna materna, appartenente a una famiglia di antica tradizione nobiliare normanna. Noi bambini lo chiamavamo zio, nelle rare occasioni di una visita in casa nostra. Rare perché ricoverato in una clinica privata. Ero bambino e ignoravo il perché del ricovero, in famiglia si diceva dipendesse da una delusione amorosa la sua grave forma depressiva, senza specificare altro. Certamente, lo zio, era un personaggio strano, con la mania di dipingere sempre lo stesso ritratto, un dipinto su tavola, a olio, che cancellava e ricomponeva sovente, rappresentante un viso indistinto. Il suo comportamento, nel resto, era di persona calmissima, mai un gesto fuori posto, anzi di una gentilezza persino esagerata. Avevo sui quindici, sedici anni, al momento della sua morte, avvenuta in clinica. Curioso com'ero, d'altronde lo sono ancora al presente, avevo interrogato mia mamma sui motivi del ricovero, avendo saputo quale categoria di clinica aveva ospitato lo zio: una specie di manicomio privato, situato in un paese a poca distanza da Torino. Sulle prime, mamma aveva tentato di svicolare ma, dietro le mie insistenze, si era arresa a raccontarmi la verità. Lo zio, a diciotto anni, si era innamorato di un compagno di scuola, per un po', i suoi genitori, che conoscevo, avevano pensato ad un turbamento passeggero ma, in seguito, visto l'impossibilità di far passare ai due ragazzi la loro passione, su consiglio di un medico, li avevano separati, in due cliniche psichiatriche distanti fra loro. Lì, per lì, mi era sembrato una decisione accettabile, ancora com'ero in preda di un monte di pregiudizi imparati, sia in famiglia, sia in parrocchia. A farli cadere, l'anno seguente, il secondo impatto con l'omosessualità, e informazioni precise sul trattamento riservato agli omosessuali nelle cliniche private. Dico subito di queste: nient'altro di una infinita somministrazione di elettrochoc. La seconda vittima, non posso dire fosse un amico, ma la conoscevo bene, perché lui era delegato diocesano dell'azione cattolica, mentre io lo ero in parrocchia. Lo stimavo, e lo stimo ancore, una delle migliori persone conosciute, sempre pronto a dare una mano a chiunque. La notizia del suicidio, aveva sorpreso tutti. E tutti non capivano perché. Quando lo venni a sapere mi infuriai come una belva feroce, in pochi giorni abbandonai parrocchia, preti, qualsiasi ambiente legato all'azione cattolica. Il suicidio, era dipeso dalla responsabilità del suo assistente spirituale, cui aveva confessato l'omosessualità. Era credente convinto, quel ragazzo, e sentendosi dire: <Sei destinato alla pena eterna, è scritto negli atti dell'apostolo Paolo: nessun effeminato entrerà in Paradiso> ritornato a casa, si era appeso al soffitto, dopo aver scritto, su un foglio di quaderno, il perché si uccideva. Domani concluderò con le mie considerazioni.

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