domenica 24 aprile 2016

Scritto un anno fa, ma riproducibile a ogni vigilia del 25 aprile.


Ho riflettuto a lungo sull'opportunità di scrivere riguardo la ricorrenza del 25 aprile. Mi sono deciso a farlo perché, nel 45' del secolo scorso, pur ragazzino, ero presente. In questi giorni, ho visto crescere una fungaia di pareri sul significato di resistenza al nazifascismo, tutti, anzi quasi tutti, schierati dalla medesima parte. E' giusto, non vestire i panni di Ponzio Pilato perché, i torti, sono nettamente sbilanciati sul versante del nazifascismo. C'è un ma, però, e un perché il nazifascismo era cresciuto in Europa negli anni dal 20 al 30 del '900. Un ulteriore perché, è necessario a spiegare l'alto numero di consenso raggiunto, dalle due ideologie, simili e dissimili allo stesso tempo. Senza andare troppo indietro, come sarebbe necessario a uno storico del costume, fermo il periodo, responsabile della nascita del nazifascismo, agli anni del primo dopoguerra, i 20. Germania e Italia, pur schierate negli opposti eserciti, avevano da lamentare molto, sul trattamento ricevuto in seguito al trattato di pace. Ovviamente più i Tedeschi. Entrambi i popoli, erano rimasti in brache di tela, una condizione perfetta a far attecchire discorsi di becero populismo. Noi, al contrario dei tedeschi, eravamo ancora nel passaggio fra feudalesimo e modernità, il tasso di scolarizzazione, basso è dir poco, era coltura adatta a far crescere i germi del fascismo, in aggiunta, i governi, avevano liquidato la massa di reduci con un grazie detto, a stento, fra denti stretti. Se si considerano, poi, gli interessi dei grandi proprietari terrieri, e quelli dei capitani dell'industria privata, minacciati dal diffondersi, nella classe operaia, del comunismo, il perché della marcia su Roma, e la vittoria del fascismo, può essere visto, chiaro, da chiunque. Certo, rimarrebbe il Re, ma dei Savoia, è meglio tacere. In Germania, l'avvento del nazismo, era avvenuto con maggior lentezza, la Nazione essendo molto diversa in stato di scolarizzazione e industria, senza l'enorme peso dei debiti di guerra, forse, non sarebbe andata in mano a Hitler, ma bensì verso una democrazia, almeno parziale. Cecità, ma anche un certo consenso a un regime autoritario, in grado di respingere il pericolo del diffondersi dell'ideologia sovietica, da parte dei vincitori, avevano dato il potere in mano a una banda di criminali. Lo scotto lo stiamo pagando tutt'ora. Terminato il percorso, molto parziale, e riduttivo della storia, rimane da aggiungere le considerazioni di ordine morale. Premetto: non fossi stato un ragazzino, di dodici anni, nel '43, sarei salito in montagna con i partigiani. Ciò non toglie nulla, ala possibilità di considerare, le motivazioni di chi aveva fatto il contrario, in parte giustificabili. Non perché giuste, ma giustificabili, sì. 
Se prendo un bambino, all'asilo d'infanzia, lo vesto da guerriero, e gli faccio credere d'esserlo veramente, cresciuto un po' gli metto un'arma in mano(il celebre moschetto), nel frattempo riempio la testolina di un'ideologia qualsiasi, ne sorte un individuo senza possibilità di ragionare in proprio. I balilla italiani, erano uno scherzo, rispetto alla Hitler jugend, dove il lavaggio dei cervelli era scientificamente applicato. Non mi stupisce quindi, leggere, nei giorni scorsi, la testimonianza del contabile nel campo di sterminio di Auschwitz; Hitler aveva salvato la Germania, non c'erano più disoccupati, credevamo in lui ciecamente, etc. etc. etc. Questa persona, attualmente sotto processo, riconosce di essere colpevole di aver partecipato allo sterminio di migliaia di ebrei, e altri deportati, quando aveva ventun anni. Non lo assolvo, ma non posso nemmeno colpevolizzarlo del tutto, perché cresciuto nel tritacarne della Hitler jugend. Quindi, ne ho pietà.

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